Memorie del Carmine

Un pezzo di storia che racconta la tradizione funeraria italiana. Fino ai primi anni ’60, i funerali venivano celebrati secondo le “classi”, con tariffe che determinavano l’allestimento della Chiesa e il numero di sacerdoti coinvolti. In passato, addirittura 16 sacerdoti potevano essere presenti per una cerimonia, prima che venisse fissato un limite a 8.
Nella foto, scattata negli anni ’50, vediamo un funerale in corso lungo Via Ponte Vetero, diretto verso la Chiesa del Carmine. Un ricordo di tempi passati, dove ogni rito aveva il suo significato e la sua solennità.

In questa foto d’epoca, Don Piero Vittori arriva alla Chiesa del Carmine, accolto da una comunità che stava vivendo un’importante fase di cambiamento. Alla sua sinistra, Padre Pasquale Viganò, Oblato Vicario che reggeva la Parrocchia, e alla sua destra Don Giovanni Casati.
In primo piano, Don Edoardo Varieschi è intento a leggere il decreto di nomina, mentre dietro di lui si riconosce il Prevosto di S. Marco, Don Giuseppe Motta.
In questa foto d’epoca, vediamo l’Arcivescovo Montini, futuro Papa Paolo VI, in visita alla nostra Chiesa del Carmine, mentre ammira la sacrestia artistica. Alla sua sinistra, di spalle, si riconosce il Prevosto Piero Vittori, indossando la Cappa Magna, mentre a destra troviamo Don Edoardo Varieschi, in mozzetta, come era consuetudine all’epoca.

Un giorno che ha segnato la storia della Chiesa del Carmine: il Vescovo Ausiliare Mons. Giovanni Colombo inaugura la restaurata Cappella della Madonna e incorona la sua statua. La chiesa era gremita di fedeli e sacerdoti, un momento di grande emozione, che ha visto anche la notizia sul quotidiano cattolico e sul Gazzettino Padano.
In quei giorni, Papa Giovanni XXIII stava male e il nome di Montini, futuro Papa Paolo VI, era nelle conversazioni di molti. Tra i sacerdoti presenti, uno ebbe l’intuizione che Mons. Colombo sarebbe stato il successore come Arcivescovo, ma lui si schermì, dicendo: “No, no, non io!”… Eppure così fu.


Una sera, all’ora di cena, il telefono della casa parrocchiale squillò: era Don Macchi, segretario dell’Arcivescovo Montini (futuro Papa Paolo VI). Entro venti minuti, l’Arcivescovo si sarebbe recato a un indirizzo della parrocchia. Il Prevosto Vittori, con un altro sacerdote, si precipitò a raggiungere l’indirizzo indicato: una vecchia casa in via S. Carpoforo, dove poco dopo arrivarono Montini e Don Macchi.
La proprietaria della casa era un’anziana signora vedova, con un figlio in galera. In difficoltà, aveva inviato una richiesta di aiuto all’Arcivescovo, che prontamente le recò conforto, le consegnò una somma di denaro e raccomandò ai sacerdoti della parrocchia di prendersi cura di lei.
L’Arcivescovo Montini conosceva molto bene la Chiesa del Carmine: da bambino, spesso era ospite di una zia che abitava al numero 4 della piazza, una donna nubile dedita alle opere di beneficenza. Il giovane Giovanni Battista si trovò più volte a pregare in questa chiesa. In tutte e tre le sue visite alla parrocchia (nel 1957, nel 1958 per la processione penitenziale del Venerdì Santo, e nel 1958 per la Festa Patronale, in occasione del centenario dell’ultima apparizione di Lourdes), non mancò mai di menzionare i suoi ricordi d’infanzia.
Papa Paolo VI tornò alla Chiesa del Carmine anche una quarta volta, quasi in incognito. Durante una celebrazione, un sacerdote entrò in chiesa coperto da una sciarpa e si mise in silenzio dietro una colonna. Qualcuno lo riconobbe e, con un gesto, lui chiese di fare silenzio e se ne andò senza farsi notare.
Tra l’Arcivescovo Montini e il Prevosto Vittori si instaurò un rapporto di reciproca stima e collaborazione. Pochi giorni prima della partenza di Montini per il Conclave, al termine di un’udienza, l’Arcivescovo si congedò da Vittori con parole di affetto: “Monsignore, sappia che le ho voluto tanto bene” e lo abbracciò.
Le foto che seguono documentano l’incontro a Roma durante un pellegrinaggio parrocchiale del 1967, e il messaggio inviato da Papa Paolo VI in occasione del 50° anniversario di Messa di Monsignor Vittori.



Nel 1975, fu avviato il restauro del chiostro dell’antico convento della Chiesa del Carmine. Dopo la soppressione degli ordini religiosi da parte del Regno d’Austria, il chiostro venne suddiviso e lottizzato, lasciando alla Chiesa solo la porzione adiacente al suo edificio.
In questa foto, riportata nel bollettino parrocchiale del dicembre 1975, possiamo vedere un articolo scritto da Don Enrico Alberti, accompagnato da una fotografia a colori del campanile. L’immagine mostra chiaramente come una metà del chiostro fosse stata deturpata e danneggiata a causa del mancato utilizzo e della dismissione.
Il restauro, avvenuto negli anni ’70, ha permesso di preservare e recuperare questo importante spazio storico, che oggi continua a testimoniare la lunga tradizione della nostra parrocchia.


Durante la dominazione spagnola, l’Artiglieria di stanza al Castello di Milano si recava con solenne corteo alla Chiesa del Carmine per rendere omaggio alla propria Patrona, Santa Barbara.
All’interno della Chiesa, vi era una cappella conosciuta come la “Cappella degli Spagnoli” (attualmente la seconda a sinistra). In questa cappella si trovavano due importanti tele: una di Nuvolone, raffigurante la Madonna con i Santi, tra i quali Santa Barbara, e l’altra di Landriani (detto il Duchino), che rappresentava San Giacomo, Patrono di Spagna, a cavallo nell’atto di sconfiggere i Mori.
Queste due tele, ancora esistenti, sono state spostate durante i restauri degli anni ’61/’62 nei transetti della chiesa: la tela della Madonna con i Santi a destra, e quella di San Giacomo a sinistra. Quest’ultima è particolarmente interessante perché presenta, negli angoli inferiori, il ritratto di Re Filippo II a sinistra e quello del Governatore spagnolo De Fuentes a destra, figura che compare anche nei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni.
Nella stessa cappella, una lapide ricorda i caduti delle Barricate del Ponte Vetero, che persero la vita durante le Cinque Giornate di Milano nel 1848. I resti di questi eroi furono poi traslati nel Sacrario di Porta Vittoria.
Nel 1998, in occasione del 150° anniversario delle Cinque Giornate, Padre Umberto Marin, che all’epoca reggeva la Parrocchia, decise di commemorare questo importante evento con una cerimonia speciale.

Fino a metà degli anni ’70, alla Chiesa del Carmine c’era una consuetudine che caratterizzava la vita parrocchiale. Ogni venerdì, verso le ore 3 del pomeriggio, un piccolo gruppo di mendicanti e senza tetto, insomma “gente ultima”, si radunava nell’androne della Canonica.
Al suono della campana delle 3, la domestica del Prevosto scendeva e consegnava loro una moneta da 50 lire. Poche monete, che non risolvevano i problemi di quelle persone, ma che comunque offrivano una piccola possibilità di sopravvivenza. Con 50 lire, infatti, potevano permettersi un quarto di vino, due panini o un biglietto del tram. Anche se il gesto era umile, portava comunque un momento di sollievo per chi viveva nella difficoltà.